un certificato per un cuore da vero atleta !
Alla luce degli episodi di sportivi deceduti in campo, il punto sui controlli da fare per praticare attività fisica in sicurezza] Alla luce degli episodi di sportivi deceduti in campo, il punto sui controlli da fare per praticare attività fisica in sicurezza
Per un Piermario Morosini che ha perso la vita su un campo sportivo ci sono moltissimi come Domenico Fioravanti e Antonio Cassano che, proprio grazie ai controlli legati alla loro attività, si sono salvati la vita: il primo, oro olimpico a Sidney nel nuoto, fermato dai medici alla soglia delle Olimpiadi di Atene; la punta del Milan che invece ha potuto riprendere a giocare proprio in questi giorni, dopo l’intervento al cuore che ha corretto la piccola malformazione emersa in seguito al malore che l’attaccante ha accusato a fine ottobre. «Lo stesso vale per la gente comune — spiega Fabio Pigozzi, presidente della Federazione Internazionale di Medicina dello Sport —. Lo screening cui vengono sottoposti ogni anno i sei milioni di italiani che praticano attività sportiva permette di individuare condizioni patologiche potenzialmente pericolose anche nella vita quotidiana». Una volta riconosciute, molte possono essere trattate adeguatamente: a volte si tratta di intervenire chirurgicamente, a volte di prendere dei farmaci, oppure di impiantare un defibrillatore simile a un pacemaker che ristabilisce il ritmo cardiaco quando occorre. CERTIFICATO - Dal 1982 nel nostro Paese per svolgere un’attività sportiva organizzata, che sia uno sport vero e proprio o anche solo la frequenza di una palestra, si richiede un certificato medico di buona salute rilasciato dal medico di famiglia, per gli adulti, o dal pediatra per i bambini. Prima di compilarlo il curante dovrebbe visitare l’aspirante atleta e informarsi sulla presenza di determinate malattie in famiglia, o su casi di morte improvvisa in età giovanile nei parenti di primo grado. «Chi invece intraprende attività di tipo agonistico deve sottoporsi a una visita da parte di uno specialista in medicina dello sport, che approfondisce i controlli con altri esami, tra cui un elettrocardiogramma a riposo e un altro eseguito dopo che l’atleta è rapidamente salito e sceso da un gradino per alcuni minuti» prosegue lo specialista, pro rettore vicario dell’Università degli studi di Roma del Foro italico. L’obiezione è immediata: come si può paragonare questo sforzo con quello intenso e prolungato di una gara? «È evidente che questa prova non ha la stessa capacità diagnostica di un vero e proprio test da sforzo, — ammette Pigozzi — ma semplicità e basso costo lo rendono adatto a un programma di screening che non sarebbe fattibile con strumenti più sofisticati». PREVENZIONE - Una semplice formalità? Non proprio: uno studio recente condotto in Italia su migliaia di praticanti ha dimostrato che uno su cento non ottiene l’idoneità alla pratica sportiva, 7 volte su 10 proprio a causa di problemi a carico del cuore. L’Italia, insieme al Giappone, è l’unico Paese così attento alla prevenzione. Altrove, in Gran Bretagna, negli Usa, ma anche nelle altre nazioni europee, ci si accontenta della visita e della storia clinica del paziente, ritenendo che sia troppo costoso, e poco efficace, sottoporre tutti gli atleti all’elettrocardiogramma. «L’esperienza invece insegna che con queste precauzioni la frequenza di eventi così drammatici si può drasticamente ridurre» obietta Gaetano Thiene, docente di Patologia cardiovascolare presso l’Università di Padova, che con i suoi collaboratori ha pubblicato sul Journal of the American Medical Association uno studio citato in tutto il mondo a sostegno dell’opportunità dello screening: «Dal 1979, prima dell’introduzione dell’obbligo dei controlli, al 2004, in Veneto l’incidenza di morte improvvisa tra i giovani atleti è calata quasi del 90%, mentre nello stesso periodo la frequenza di questi eventi tra i ragazzi che non praticavano sport non si è modificata». FORMAZIONE - Non è solo l’elettrocardiogramma prima di scendere in campo ad aver prodotto questi risultati. «Bisogna anche formare i medici perché imparino a riconoscere le situazioni a rischio, e indirizzino così gli atleti a ulteriori controlli: prima l’ecocardiografia e poi, se occorre, la risonanza magnetica — aggiunge Thiene —. Ma i risultati ottenuti in Veneto derivano anche da un grosso lavoro di ricerca compiuto attraverso le autopsie, che a mio parere in questi casi dovrebbero essere obbligatorie: solo studiando a fondo le cause di questi decessi se ne potranno impedire altri». Thiene, considerato un’autorità mondiale in questo campo, fa altre proposte concrete: «Anche le società e le organizzazioni sportive dovrebbero contribuire a finanziare questa ricerca, per la quale sarebbe fondamentale l’istituzione di un Registro a livello nazionale». EMERGENZE - Pur estendendo i controlli e imparando a riconoscere i segnali di allarme, resta comunque un margine di imprevedibilità: «Alcune condizioni danno per la prima volta segno di sé nel momento in cui determinano l’arresto cardiaco — dice Peter Schwartz, direttore della cattedra di cardiologia dell’Università di Pavia, riconosciuto per essere uno dei più grandi esperti di morte improvvisa a livello internazionale —. Ma anche queste non sono affatto morti inevitabili: in persone giovani, con cuori sani, questi eventi sono per lo più scatenati da aritmie facilmente reversibili con il defibrillatore elettrico. I medici sportivi che seguono gli atleti devono essere preparati a queste situazioni e pronti a intervenire immediatamente per superare la fase critica e salvare la vita dello sportivo. Non ci sono giustificazioni per non iniziare immediatamente le manovre di rianimazione cardiopolmonare mediante massaggio cardiaco e respirazione bocca a bocca. Prima si interviene, maggiori sono la probabilità di ristabilire il normale ritmo del cuore».] Per un Piermario Morosini che ha perso la vita su un campo sportivo ci sono moltissimi come Domenico Fioravanti e Antonio Cassano che, proprio grazie ai controlli legati alla loro attività, si sono salvati la vita: il primo, oro olimpico a Sidney nel nuoto, fermato dai medici alla soglia delle Olimpiadi di Atene; la punta del Milan che invece ha potuto riprendere a giocare proprio in questi giorni, dopo l'intervento al cuore che ha corretto la piccola malformazione emersa in seguito al malore che l'attaccante ha accusato a fine ottobre. «Lo stesso vale per la gente comune — spiega Fabio Pigozzi, presidente della Federazione Internazionale di Medicina dello Sport —. Lo screening cui vengono sottoposti ogni anno i sei milioni di italiani che praticano attività sportiva permette di individuare condizioni patologiche potenzialmente pericolose anche nella vita quotidiana». Una volta riconosciute, molte possono essere trattate adeguatamente: a volte si tratta di intervenire chirurgicamente, a volte di prendere dei farmaci, oppure di impiantare un defibrillatore simile a un pacemaker che ristabilisce il ritmo cardiaco quando occorre.
�
CERTIFICATO - Dal 1982 nel nostro Paese per svolgere un'attività sportiva organizzata, che sia uno sport vero e proprio o anche solo la frequenza di una palestra, si richiede un certificato medico di buona salute rilasciato dal medico di famiglia, per gli adulti, o dal pediatra per i bambini. Prima di compilarlo il curante dovrebbe visitare l'aspirante atleta e informarsi sulla presenza di determinate malattie in famiglia, o su casi di morte improvvisa in età giovanile nei parenti di primo grado. «Chi invece intraprende attività di tipo agonistico deve sottoporsi a una visita da parte di uno specialista in medicina dello sport, che approfondisce i controlli con altri esami, tra cui un elettrocardiogramma a riposo e un altro eseguito dopo che l'atleta è rapidamente salito e sceso da un gradino per alcuni minuti» prosegue lo specialista, pro rettore vicario dell'Università degli studi di Roma del Foro italico. L'obiezione è immediata: come si può paragonare questo sforzo con quello intenso e prolungato di una gara? «È evidente che questa prova non ha la stessa capacità diagnostica di un vero e proprio test da sforzo, — ammette Pigozzi — ma semplicità e basso costo lo rendono adatto a un programma di screening che non sarebbe fattibile con strumenti più sofisticati».
�
PREVENZIONE - Una semplice formalità? Non proprio: uno studio recente condotto in Italia su migliaia di praticanti ha dimostrato che uno su cento non ottiene l'idoneità alla pratica sportiva, 7 volte su 10 proprio a causa di problemi a carico del cuore. L'Italia, insieme al Giappone, è l'unico Paese così attento alla prevenzione. Altrove, in Gran Bretagna, negli Usa, ma anche nelle altre nazioni europee, ci si accontenta della visita e della storia clinica del paziente, ritenendo che sia troppo costoso, e poco efficace, sottoporre tutti gli atleti all’elettrocardiogramma. «L'esperienza invece insegna che con queste precauzioni la frequenza di eventi così drammatici si può drasticamente ridurre» obietta Gaetano Thiene, docente di Patologia cardiovascolare presso l'Università di Padova, che con i suoi collaboratori ha pubblicato sul Journal of the American Medical Association uno studio citato in tutto il mondo a sostegno dell'opportunità dello screening: «Dal 1979, prima dell'introduzione dell'obbligo dei controlli, al 2004, in Veneto l'incidenza di morte improvvisa tra i giovani atleti è calata quasi del 90%, mentre nello stesso periodo la frequenza di questi eventi tra i ragazzi che non praticavano sport non si è modificata».
�
FORMAZIONE - Non è solo l'elettrocardiogramma prima di scendere in campo ad aver prodotto questi risultati. «Bisogna anche formare i medici perché imparino a riconoscere le situazioni a rischio, e indirizzino così gli atleti a ulteriori controlli: prima l'ecocardiografia e poi, se occorre, la risonanza magnetica — aggiunge Thiene —. Ma i risultati ottenuti in Veneto derivano anche da un grosso lavoro di ricerca compiuto attraverso le autopsie, che a mio parere in questi casi dovrebbero essere obbligatorie: solo studiando a fondo le cause di questi decessi se ne potranno impedire altri». Thiene, considerato un’autorità mondiale in questo campo, fa altre proposte concrete: «Anche le società e le organizzazioni sportive dovrebbero contribuire a finanziare questa ricerca, per la quale sarebbe fondamentale l'istituzione di un Registro a livello nazionale».
�EMERGENZE - Pur estendendo i controlli e imparando a riconoscere i segnali di allarme, resta comunque un margine di imprevedibilità: «Alcune condizioni danno per la prima volta segno di sé nel momento in cui determinano l'arresto cardiaco — dice Peter Schwartz, direttore della cattedra di cardiologia dell'Università di Pavia, riconosciuto per essere uno dei più grandi esperti di morte improvvisa a livello internazionale —. Ma anche queste non sono affatto morti inevitabili: in persone giovani, con cuori sani, questi eventi sono per lo più scatenati da aritmie facilmente reversibili con il defibrillatore elettrico. I medici sportivi che seguono gli atleti devono essere preparati a queste situazioni e pronti a intervenire immediatamente per superare la fase critica e salvare la vita dello sportivo. Non ci sono giustificazioni per non iniziare immediatamente le manovre di rianimazione cardiopolmonare mediante massaggio cardiaco e respirazione bocca a bocca. Prima si interviene, maggiori sono la probabilità di ristabilire il normale ritmo del cuore»
.
Il 95% dei casi di morte improvvisa nelle sport sono legati al cuore. Nei giovani che fanno sport la mortalità è 2,5 volte superiore rispetto a chi non lo fa. Una statistica legata a un'attualità tragica per la morte sul campo del Pescara del giocatore del Livorno Piermario Morosini.
Una morte improvvisa, anche al centro della campagna di sensibilizzazione «Ci vuole cuore», promossa dalla Fondazione italiana "Cuore e circolazione" Onlus e dalla Società italiana di Cardiologia per la prevenzione della morte cardiaca improvvisa nei giovani. Il progetto – avviato nell'anno scolastico 2008-2009 con il ministero dell'Istruzione - prevede per prima cosa l'identificazione dei soggetti a rischio attraverso un'attività di screening cardiovascolare e la messa in atto di misure preventive, quale riduzione dell'attività sportiva intensa o la conversione in sport meno impegnativi e l'adozione di approfondimenti diagnostici e terapie farmacologiche salvavita
Quest'anno la campagna è stata realizzata dal gruppo atomix di Bologna in collaborazione con Lega Basket, Legadue, Segretariato sociale della Rai, ministero dell'Istruzione dell'Università. Dal oggi, 16 aprile, fino al 30, la Fondazione ha avviato una campagna di raccolta fondi tramite sms solidale al numero 45508.
Un intervento immediato oltreché un'attenta prevenzione è proprio quello che ci sarebbe voluto sul campo del Pescara secondo Francesco Fedele, presidente della Fondazione e direttore del dipartimento di malattie cardiovascolari e respiratorie dell'università La Sapienza di Roma, secondo il quale «bisogna portare i defibrillatori a bordo campo». «Basta che le persone a bordo campo sappiano fare le manovre di rianimazione cardiopolmonare e che queste siano compiute a bordo campo anche per 30-50 minuti: ci vuole una giornata per prendere il tesserino, ma anche 3-5 minuti perché si avvii la degenerazione senza un intervento immediato», aggiunge Fedele.
Stessa lunghezza d'onda nelle dichiarazioni del presidente della Federazione italiana di cardiologia, Franco Romeo, che intervenendo alla presentazione della campagna ha aggiunto la necessità che ci sia uno specialista cardiologo in grado di intercettare queste situazioni e che non si sottovaluti la familiarità: «chiunque abbia casi in famiglia - ha detto R Romeo - dovrebbe sottoporsi a esami e visite specialistiche. Quella presentata oggi è un'iniziativa lodevole, ma si deve fare di più. Bisogna informare la gente».
I primi risultati della campagna di prevenzione «Ci vuole cuore» sono stati presentati dalla Fondazione a fine 2011 e hanno confermato l'importanza di questa iniziativa. Da uno screening elettrocardiografico condotto su 7mila studenti degli ultimi due anni di alcune scuole secondarie di 2� grado del Lazio, Toscana, Abruzzo, Lombardia, Veneto, Piemonte, Sicilia e Calabria è emerso che il 21% presenta alterazioni elettrocardiografiche meritevoli di approfondimento diagnostico. Anche i dati anamnestici sono degni della massima attenzione, poiché circa il 13% dei ragazzi presenta familiarità per malattie cardiovascolari, il 18% presenta abitudine tabagica, l'11% fa abuso di alcol (e pratica il cosiddetto binge drinking), ed il 6% dichiara di far uso di sostanze stupefacenti.
Molti giovani, hanno spiegato i promotori della campagna, praticano attività sportiva non agonistica, per la quale è previsto il certificato medico solo di sana e robusta costituzione, con visita medica senza l'impiego di esami strumentali. «In questo modo - ha detto Fedele - molte cardiopatie occulte non vengono svelate e anche lo sport ludico può rivelarsi minaccioso per la vita. D'altro canto, parecchie malattie cardiovascolari silenti possono portare ad arresto cardiaco anche in assenza di sforzo o emozioni, per cui anche soggetti giovani, con vita sedentaria, sono esposti al rischio se la loro malattia non viene smascherata».
Una delle iniziative di comunicazione più significative a supporto della campagna è la realizzazione di uno spot (regia di Luca Lucini), con la presenza di Daniel Hackett e Andrea Renzi, giovani emergenti già arrivati a vestire la maglia azzurra della nazionale. Lo spot servirà a sostenere la raccolta fondi per la ricerca ma anche a mandare un messaggio importante di prevenzione alle famiglie e ai giovani: «per fare sport ci vuole cuore: un elettrocardiogramma può salvare una vita».