La "trazione lombare attiva" o TLA è la diretta discendente della tecnica svedese
di "autotrazione", un trattamento meccanico del dolore lombo-sciatico. Questo
volume ne tratta in tre parti abbastanza indipendenti. Il lettore che voglia farsi
una prima idea di questo trattamento potrà saltare alla terza parte che riassume
il tema in 15 domande ed altrettante risposte. Il lettore che invece già conosca i
principi generali della metodica e voglia apprenderne l'applicazione pratica potrà
limitarsi a leggere soltanto la seconda parte, dedicata alle procedure di trattamento.
Il lettore che voglia conoscere la storia di questa metodica ed i suoi presupposti
scientifici dovrà invece sopportare questa introduzione e la prima parte
del volume: ma potrà poi fermarsi se decide che non gli interesserà mai praticare
il metodo.
La Trazione Lombare Attiva: Per chi è? Che cosa è?
La trazione lombare attiva o TLA è un trattamento meccanico deldolore sia lombare sia sciatico sostenuto da cause meccanicocompressive "benigne". Fra queste non rientrano, evidentemente, le spondilolisi-spondilolistesi sintomatiche (in cui la genesi del dolore non è riducibile ad un meccanismo compressivo), né lepatologie neoplastiche, né le patologie infiammatorie "maggiori" come la spondilite anchilosante o l'artrite reumatoide.
Rientrano in questa definizione, invece, le classiche sindromi radicolari da protrusione o ernia discale, laterale o mediana, contenuta o espulsa, singola o multipla, così come le insidiose sindromida canale ristretto in cui il dolore lombo-sciatico si accompagna a forme di claudicazione che ricordano le forme vascolari. Possono essere trattati con successo anche pazienti con postumi, esiti o recidive di pregressi interventi chirurgici.
Nulla vieta di trattare pazienti acuti o cronici, pazienti con o senza segni radicolari o pazienti con una sola protrusione o con più ernie. In verità la tecnica appare alquanto impegnativa per divenire il trattamento di scelta di sindromi dolorose molto lievi oppure anche intense ma insorte recentemente (indicativamente, entro le ultime quattro settimane) e quindi destinate con alta probabilità ad una risoluzione spontanea. Crediamo quindi che il campo di applicazione più interessante resti l'insieme dei casi refrattari a precedenti terapie e con dolore persistente da almeno 4 settimane.
Ma in che cosa consiste questo trattamento?
"Tirarsi da sé" Il paziente giace supino su uno speciale tavolo fisioterapico . A metà della sua lunghezza il tavolo è diviso trasversalmente. La metà inferiore del corpo, bacino incluso, èsostenuta dalla parte caudale del tavolo. Questa può essere inclinata lentamente verso l'alto o verso il basso e ruotata verso destra o verso sinistra attraverso un servo-meccanismo elettrico azionato dal terapista, così da posizionare o mobilizzare tridimensionalmente la colonna lombosacrale Escursioni e velocità di rotazione sono progettate per restare entro limiti di assoluta sicurezza.
Il tavolo è provvisto di speciali barre verticali e trasversali .
Alcune sono poste sulla sezione craniale. Il paziente vi si può aggrappare "tirandosi" verso l'alto (se lo immaginiamo in piedi) esercitando così degli sforzi di "trazione lombare attiva". Per evitare che il paziente scivoli durante la trazione egli viene assicurato attraverso una speciale fascia pelvica alla sezione caudale del tavolo. Qui sono poste altre barre che il paziente può spingere o tirare utilizzando gli arti inferiori
Il terapista cerca di posizionare il paziente in modo che il dolore lombosciatico si riduca al minimo. Quindi vengono chieste al paziente opportune combinazioni di "trazioni attive" e spinte/trazioni con gli arti inferiori mentre lo si mobilizza verso le posizioni più dolorose.
L'insieme di queste manovre lo conduce a conquistare senza più dolore una completa articolarità della colonna lombosacrale. Se le cose vanno bene, in 3-6 sedute ambulatoriali di circa mezz'ora il dolore è risolto definitivamente anche al di fuori dell'ambulatorio.
STORIA
L'idea di questa sorta di "trazioni attive" venne alla dottoressa Gertrud Lind, medico svedese che pubblicò nel 1974 I'idea di un tavolo di "autotrazione" e morì prematuramente pochi anni dopo.
Entrambe le sezioni del tavolo erano orientabili a forza di braccia con meccanismi molto più complicati di quelli attuali. Anche il trattamento era molto complesso: i possibili posizionamenti del paziente erano moltissimi ed erano studiati con precisione estrema.
Egli doveva poi restare a riposo con un corsetto per diverse settimane anche se il dolore era completamente scomparso.Tuttavia il principio di base costituito dalla manovra di trazione attiva in condizioni di mobilizzazione controllata del rachide era lo stesso giunto poi fino a noi.
Gertrud Lind aveva realizzato un prodotto efficace partendo da presupposti errati.
Essa credeva che l"'autotrazione" altro non fosse che una variante delle trazioni pelviche passive convenzionali: con il vantaggio di consentire sia una mobilizzazione tridimensionale del rachide lombosacrale (idea attinta ai principi della medicina manuale) sia un minore rischio di effetti collaterali, visto che il dosaggio delle forze di trazione era affidato al paziente stesso.
Secondo Lind l'autotrazione poteva portare a significative riduzioni della massa erniaria o comunque ad un suo rimodellamento taleda decomprimere le terminazioni nervose sofferenti.
Quasi tutte le osservazioni della Lind, relative a centinaia di casi di dolore lombo-sciatico, restarono racchiuse nella sua tesi senza comparire sulla stampa scientifica. L'autrice descrisse la possibilità di guarigione completa, con poche sedute di autotrazione, di pazienti in cui la mielografia (non essendovi ancora la TAC) aveva evidenziato un'ernia discale lombare meritevole di intervento chirurgico.
In modo ovattato si diffusero in Scandinavia poche decine di tavoli di autotrazione. Ben pochi tavoli (personalmente venni a conoscenza di uno soltanto, in Germania) si diffusero nel Nord Europa. Negli Stati Uniti il fiasco fu completo. La produzione scientifica progredì lentamente e in maniera alquanto contraddittoria. Un autorevole studio controllato multicentrico confermò l'efficacia del metodo: il quale venne poi sostanzialmente rifiutato sulla base di considerazioni fisiopatologiche.
Il modello fisiopatologico dominante attribuiva a questa forma di dolore una patogenesi tutto sommato semplice: una protrusione discale (talora per la concomitanza di restringimenti del canale vertebrale) comprime una radice nervosa. Conseguenza terapeutica: tutto ciò che decomprime il disco fa bene (riposo, corsetto, riduzione del sovrappeso); tutto ciò che fa aumentare la pressione discale fa male (posture sedute incongrue, carichi lombari eccessivi). Molte e solide osservazioni epidemiologiche restavano escluse da questo modello: che dire dei pazienti che soffrono di più a letto che non quando corrono? Che dire della incidenza simile di ernia discale in sedentari e atleti, grassi e magri? Ma erano gli anni in cui furoreggiavano gli studi di misure pressorie intradiscali in vivo attraverso apposite sonde percutanee.
Per la verità questi studi non avevano un disegno sperimenta levolto a correlare la pressione discale con la sintomatologia: il rapporto causale era soltanto una inferenza lontana, per quanto "razionale" essa potesse sembrare. Ma tant'è: la nascente autotrazione ricevette un grave colpo quando queste misure dimostrarono che la manovra di autotrazione, appunto, comporta un notevole aumento di pressione all'interno dei dischi lombari (fino a 5 volte la pressione che si registra in posizione supina rilasciata). Né poteva essere altrimenti: "tirarsi al massimo" con le braccia è un esercizio attivo massimale che richiede la contrazione dei muscoli del tronco. È ben vero che il corpo viene "tirato" verso le mani: ma è anche vero che questo avviene proprio grazie anche alla co-contrazione di tutti i muscoli del tronco. Dunque la Lind doveva essersi sbagliata e per di più la sua tecnica doveva essere potenzialmente dannosa, almeno nei casi di ernia discale.
In realtà- ma questo è il senno di poi - la Lind si era sbagliata nell'interpretare e non nell'osservare l'efficacia dell'autotrazione. Il fatto, poi, che durante autotrazione la pressione discale aumenti non significa che il dolore debba aumentare, e questo per molti motivi che in seguito sarebbero stati ampiamente evidenziati.
Altri studi, questa volta radiologici, dimostrarono che il profilo dell'immagine del disco (studiato con TAC e con mielografia) non cambia in modo significativo né durante né dopo manovre di autotrazione anche se queste hanno successo. Dunque ancora una volta la Lind doveva essersi sbagliata: I'anatomia dell'ernia non si modificava macroscopicamente. Dunque l'autotrazione non poteva funzionare. Dunque i successi clinici dovevano essere semplici abbagli.
Oggi non siamo più così sicuri che il profilo erniario non cambi:magari a livello microscopico, ma quanto basta per decomprimere significativamente terminazioni nervose algogene. E sappiamo anche che non è soltanto l'ernia una struttura in grado di comprimere le terminazioni algogene. Sempre con il senno di poi possiamo dire che si ripeteva un errore metodologico: si gettava via un'osservazione giusta perché qualcuno ne aveva data una interpretazione sbagliata; si gettava via la osservazione sperimentale perché essa era incompatibile con il modello teorico.
Per nulla scoraggiato dal montante scetticismo verso l'autotrazione un medico allievo di Gertrud Lind, Emil Natchev, ne perfezionava la tecnica. Nel 1984 il tavolo diveniva elettro-idraulico. Al paziente non venivano più imposte forzate convalescenze.
Purtroppo nemmeno Natchev si preoccupò di produrre lavori clinici accettabili in termini di rigore sperimentale. Natchev ha trattato- e tratta tuttora, a Stoccolma - moltissimi pazienti con ernia discale lombare, e tiene periodicamente corsi di 4-5 giorni sul suo metodo di auto-trazione. Questo nel frattempo si è complicato non poco, integrandosi con tecniche di medicina manuale. Sempre nella metà degli anni '80 uno studio neurofisiologico autorevole confermò un'altra osservazione della Lind: i pazienti che riportano un calo di dolore dopo autotrazione possono anche riportare evidenti miglioramenti obiettivi, consistenti nella normalizzazione della forza e della sensibilità negli arti inferiori e nella normalizzazione di potenziali somatosensoriali evocati dall'arto inferiore sede di sciatalgia.Ma ancora una volta si trattava di osservazioni fisiopatologiche e non di studi clinici di efficacia.
Efficacia del metodo: non soltanto reale ma anche...razionale
Il primo tavolo di autotrazione entrò in Italia all'inizio del 1985. Negli anni seguenti furono pubblicati i primi studi clinici di efficacia. Essi confermarono le osservazioni di Lind e Natchev.
L'efficacia del metodo imponeva una revisione del modello "meccanicistico- semplice" del dolore lombare. In sintesi si sviluppò il modello (già allora accennato in letteratura) che riconosce quale altra possibile causa di queste sindromi la compressione e/o la stasi del plesso venoso epidurale. L'efficacia delI'autotrazione sarebbe dovuta in parte ad un microrimodellamento del profilo erniario ed in parte ad una decongestione del plesso venoso epidurale, ottenuta grazie ad una vera e propria azione di pompa esercitata selettivamente dalla muscolatura paravertebrale.
Probabilmente si tratta degli stessi meccanismi che, in pazienti più fortunati, si verificano anche spontaneamente portando alla guarigione clinica, evento non raro.
Come fanno i risultati a divenire stabili? La stessa domanda vale per tutti i casi di risoluzione non chirurgica, primi fra tutti quelli in cui la guarigione è spontanea. Forse la decongestione venosa avvia un processo definitivo di disinfiammazione. Forse nel contempo protrusione ed ernia tendono comunque ad atrofizzarsi come ormai ci hanno dimostrato studi con TAC eseguite a distanza di anni da lombo-sciatalgie risolte.
Che la guarigione e la sua stabilità dipendano da questi meccanismi non è dimostrato direttamente ma appare ragionevole: almeno quanto gli argomenti portati a sostegno della "impossibilità" che l'autotrazione sia efficace.
In questi undici anni gli Autori hanno trattato in Milano oltre 1.200 pazienti con le caratteristiche del paziente-tipo sopra descritto.
Circa il 70% di questi pazienti ha riferito di essere migliorato o guarito dopo 3-6 sedute.
Il dolore si è ridotto di almeno il 50-70% in termini sia di intensità, sia di gravità qualitativa (e spesso è sparito). Lo stesso si può dire per la disabilità che ne derivava. Nei casi di cui è stato pubblicato il follow-up i risultati sono rimasti stabili fino a 3-6 mesi di distanza dal trattamento: ma vi è motivo di credere che di regola essi siano definitivi.
L'autotrazione, tuttavia, non si affermò mai pienamente: al dicembre 1995 erano attive in Italia non più di 5 o 6 sedi di trattamento.
Del tutto recentemente l'interesse per questa tecnica si è risvegliato. Forse questo dipende dal fatto che la sua epoca pionieristica si è finalmente conclusa.
Chi si accosta all'autotrazione non trova più uno stravagante "lettino svedese" ma una metodica convalidata scientificamente e matura tecnologicamente: efficace almeno quanto l'autotrazione originaria, ma molto più semplice e razionale. Richiami di fisiopatologia. Come nasce il dolore? Il dolore lombare e/o sciatico di cui soffre il nostro paziente-tipo non è riconducibile sempre e soltanto al meccanismo: un'ernia discale comprime una radice nervosa.
Oggi sappiamo che le strutture algogene all'interno del canale vertebrale lombare sono molte (dal sacco durale - nella sua parete anteriore - alle pareti dei vasi sanguigni) così come molte sono le strutture che possono comprimerle (materiale discale, osteofiti, patologia malformativa, ecc.). Dove si localizza il dolore? La compressione mediana del sacco durale da parte di una protrusione discale anche lieve può causare dolore che viene riferito esclusivamente in sede lombare. Osteofiti prodotti dalle faccette articolari interapofisiarie possono comprimere una radice nervosa nel canale radicolare e provocare una classica "sciatica" senza lombalgia. Non è difendibile, quindi, lo schematismo: se non c'è sciatica non c'è mai ernia, se c'è sciatica c'è sempre ernia.
Con quali movimenti aumenta il dolore? La flessione del rachide lombare aumenta la sezione del canalevertebrale e favorisce il rientro di protrusioni o ernie contenute.
Nel contempo, viene allungato (e quindi stirato) il sacco durale.Pazienti con scarsa componente infiammatoria durale (in generale i pazienti "cronici") trarranno beneficio dalla posizione del tronco flessa e peggioreranno in posizione neutra od estesa; il segno di Lasègue sarà negativo. Il Lasègue, in ultima analisi, retroverte il bacino, allunga il nervo sciatico e quindi equivale dal punto di vista della trazione sul sacco durale ad una flessione del tronco. Il contrario vale per pazienti "acuti" nei quali la posizione flessa provoca comunque un dolore (verosimilmente a partenza durale, appunto) superiore a quello presente in posizione estesa.Naturalmente vi sono anche pazienti che soffrono in qualsiasi posizione e che tipicamente presentano una marcata contrattura paravertebrale. Che dire di lateroflessione e torsione del rachide lombosacrale? Semplicemente, queste posizioni provocano un"effetto volume" asimmetrico sul canale vertebrale: i forami di coniugazione si allargano e le guaine durali si tendono dal lato convesso e/o dal lato dal quale il tronco "si allontana" (ad esempio,il lato destro se il tronco "guarda" verso sinistra). Il dolore aumenta a riposo o sotto carico? Se l'aumento di pressione discale inevitabilmente aggrava la situazione clinica, le posizioni seduta ed eretta, per non parlare della corsa o del sollevamento di pesi, dovrebbero condurre ad un peggioramento della sintomatologia rispetto alla posizione supina.Come spiegare, allora, il frequentissimo paradosso costituito dal dolore esacerbato dal riposo notturno? Non bisogna dimenticarsi del plesso venoso epidurale, avalvolare e quindi facilmente distensibile ed anche poco evidenziabile sia con TAC sia con RMN. Tutto ciò che restringe il lume del canale vertebrale può comprimere queste vene, le quali a loro volta possono divenire dolenti di per sé, visto che sono innervate; oppure possono aggravare la compressione radicolare, visto che si possono dilatare oppure possono innescare un processo flogistico, visto che la stasi venosa è l'anticamera della flebite (soprattutto nei pazienti con deficit fibrinolitico che - guarda caso - hanno un rischio aumentato non solo per patologie cardiovascolari, ma anche per sindromi lombo-sciatiche). La posizione supina a riposo favorisce la congestione venosa epidurale - perché mancano movimenti di flessione (che ampliano il lume canalare) e manca il meccanismo fisiologico di "pompa muscolare" che ha una nota azione decongestionante: tutto questo può prevalere sul beneficio atteso dalla riduzione di pressione discale che il riposo in posizione supina comporta.
Con quali meccanismi agisce la trazione lombare attiva?
Probabilmente essa agisce, in misura diversa in ciascun caso, sia sul volume canalare (posizionamento intervertebrale antalgico) sia sul profilo erniario (posizionamento + compressione), sia sulla congestione venosa epidurale (posizionamento + pompa muscolare intervertebrale). Questo spiega a) perché non vi sia una chiara correlazione fra risultato del trattamento, da un lato, e quadro clinico-radiologico dall'altro e b) perché sindromi da canale ristretto e da cicatrici epidurali post-chirurgiche senza protrusione discale possano rispondere anch'esse alla terapia.
Dolore e segni neurologici
Non raramente nel corso del trattamento possono normalizzarsi alterazioni neurologiche "obiettive" quali una ipoestesia e/o una ipostenia (frequente quella a carico della flessione dorsale delI'alluce). Il fenomeno va considerato una conseguenza dell'attenuazione o scomparsa del dolore (non importa se ottenuta con TLA o altra metodica) e non una conseguenza diretta della decompressione di radici nervose, le quali certo non potrebbero recuperare la loro funzione in così poco tempo. Il dolore lombosciatico esercita una potente inibizione - per lo più inconscia e interpretabile come "difensiva" - sulle vie nervose centrali sia motorie, sia sensitive. Paresi significa minori possibilità di sovraccaricare un rachide dolente; ipoestesia significa anche ipoalgesia. Se il deficit neurologico "obiettivo" è determinato più da meccanismi riflessi che da lesione radicolare diretta la riduzione del dolore può condurre a un rapido miglioramento di questa obiettività. Dall'autotrazione alla trazione lombare attiva Dopo alcuni mesi di diligente applicazione della tecnica Lind-Natchev agli Autori apparve chiaro che la si poteva semplificaremolto. Negli ultimi 7-8 anni essi hanno applicato in Milano un metodo talmente diverso da quello originario da poterne proporre la nuova definizione di "trazione lombare attiva". Il nome enfatizza il fatto che la tecnica appartiene alla famiglia degli esercizi motori attivi e che condivide con la trazione convenzionale, puramente passiva, soltanto alcuni aspetti esteriori. Nel contempo si è semplificato anche il tavolo di trattamento. Lo studio di questo manuale, eventualmente integrato da una giornata di osservazione e discussione di casi clinici, è ormai sufficiente al medico e al fisioterapista per utilizzare correttamente la trazione lombare attiva.
Prescrizione: indicazioni, limiti, controindicazioni
La trazione lombare attiva è una tecnica di esercizio terapeutico riabilitativo. In quanto tale, essa deve essere prescritta dal medico e applicata dal fisioterapista..
Le indicazioni coprono una gamma vastissima di disturbi, definiti nei modi più vari: lombalgia, sciatica, canale ristretto, ernia discale, radicolite e via definendo. "Lombalgia" e "sciatica" sono condizioni cliniche insidiose. La stragrande maggioranza di queste sindromi riconosce, in ultima analisi, una stessa patogenesi benigna meccanico-compressiva: la compressione di terminazioni nervose ad opera di ernia o protrusione discale, con o senza ilcontributo di parti ossee (osteofiti, canale ritretto congenito) e con la mediazione dei meccanismi vascolari sopra descritti.
Una piccola parte di queste sindromi, invece, può riconoscere una infinità di altre cause. Dall'aneurisma aortico alla metastasi vertebrale, dall'osteoma osteoide alla spondilolistesi, mille diagnosi alternative sono in agguato. Per fortuna il trattamento risulta innocuo anche in gran parte di questi casi: ma questo non è un buon motivo per applicarlo inutilmente. Spesso il paziente-tipo si auto-propone per il trattamento dopo un lungo percorso diagnostico e terapeutico. Può capitare, tuttavia, che egli non abbia ancora eseguito né radiografie né TAC né RMN.
In questi casi, se vi è il fondato sospetto che la sindrome del paziente dipenda da una protrusione discale o da una forma di canale ristretto e l'intervento chirurgico non appare inevitabile, è ragionevole procedere ad un tentativo con tre sedute di trazione lombare attiva per poi eseguire ulteriori accertamenti soltanto in caso di insuccesso.
Le condizioni cliniche locali e generali ben di rado rendono il trattamento assolutamente controindicato. Quando questo sia opportuno, la fascia pelvica può essere rimossa per essere sostituita da un "auto-ancoraggio" da parte del paziente stesso con il dorso deipiedi, come verrà illustrato più oltre. Il medico deve tenere presente che lo sforzo di trazione attiva comporta sostanzialmente una intensa manovra di Valsalva e una notevole attività muscolare paravertebrale e deve trarne le debite considerazioni. Non ha senso, quindi, stabilire se in generale il paziente cardiopatico, osteoporotico,anziano, con ernia inguinale o con qualsiasi altra patologia concomitante possa essere trattato o meno. La decisione finale dipende dal giudizio del medico che naturalmente dovrà poter confidare sulla professionalità del fisioterapista cui il pazienteviene poi affidato.
Nella nostra esperienza gli ostacoli più frequenti sono rappresentati da ernie inguinali o crurali (anche già operate) e da sindromi dolorose cervicali o della spalla. Nel primo caso è tassativo evitare la fascia pelvica, consigliare al paziente di utilizzare un cintoerniario e richiedergli sforzi sottomassimali anche a costo di prolungareil ciclo di trattamento. Nel secondo caso occorre personalizzare con cura sia il posizionamento del paziente, sia� l'intensità dello sforzo, in modo da ridurre al minimo il disagio che può derivare dalle manovre di trazione attiva. Comunque una riacutizzazione di dolori cervicali o lombari dopo la seduta non preclude il successo complessivo del trattamento, ma semplicemente suggerisce di diluirlo in un periodo più lungo.
In linea di principio gli sforzi di trazione lombare attiva senza fascia pelvica sono del tutto innocui anche in gravidanze fisiologiche, almeno nei primi sei mesi. Le lombosciatalgie in gravidanza possono rispondere molto bene a questa tecnica di esercizio. Tuttavial'esperienza clinica in questo settore è ancora molto ridotta: il che per ora sconsiglia, in generale, I'applicazione in gravidanza
Trazione Lombare Attiva: come?
La prescrizione medica deve fornire al terapista almeno tre informazioni fondamentali:
• la diagnosi;
• I'indicazione al trattamento;
• la presenza o meno di particolari problemi che suggeriscano l'adozione di questa o quel la precauzione nel trattamento.
Anamnesi ed osservazione funzionale pre-trattamento
In carenza di una prescrizione/informazione completa da parte del medico spetta al terapista richiedere al medico stesso ogni necessaria integrazione. Ma al terapista spetta anche una breve anamnesi specifica per l'avvio al trattamento poiché questo può seguire di molti giorni la prescrizione medica. In generale le domande sono le stesse che il terapista porrebbe a qualunque paziente gli venisse inviato per un trattamento con esercizio terapeutico.
Ad esempio: il paziente ha notato nuovi sintomi, o un aggravamento dei sintomi abituali, negli ultimi giorni? Ha sofferto di nuove patologie?
Quattro domande-chiave sono sufficienti per orientare il terapista su come iniziare il trattamento.
1) Il paziente soffre di dolori più intensi o più frequenti quando è in piedi, seduto o supinoIn generale il paziente che soffre di più sotto carico (in piedi, seduto) non avrà problemi nell'iniziare il trattamento da supino.
Il paziente che soffre di più da supino, in particolare la notte, tenderà a preferire la posizione con gli arti inferiori ed il rachide lombare flessi
2) Il paziente soffre di più nel mantenimento di posizioni prolungate o nei cambiamenti di posizione, quali che essi siano? Nel primo caso potrebbe essere opportuno modificare più di frequente la posizione del paziente sul lettino, ad esempio ruotando/ flettendo la sezione caudale ogni 2 minuti, oppure ponendo il paziente sul fianco dopo i primi 10 minuti.
3) Il paziente soffre di dolori cervicali e/o brachiali? In questo caso sarà opportuno ridurre l'intensità degli sforzi con gli arti superiori ed assicurarsi che il paziente tenga anche il collo (e non solo il rachide lombare, come vedremo) nella posizione che provoca minor dolore.Per esempio, potrebbe essere sufficiente sollevare il capo in flessioneun poco più del norma le, oppure tenerlo ruotato verso illato che crea meno problemi
4) Il paziente soffre di ernie viscerali (o simili) e/o di variciemorroidarie? In particolare: ernie inguinali/crurali, ernie iatali, prolasso uterino, sventramenti post-chirurgici? In questo caso sarà opportuno ridurre l'intensità degli sforzi e/o ricorrere alla tecnica con autoancoraggio con i piedi , così da eliminare il ricorso all'ancoraggio con fascia pelvica
Posizionamento iniziale del paziente
Il paziente viene invitato a togliersi scarpe e calzoni o gonna. Non occorre che egli si svesta dalla vita in su a meno che egli non indossi abiti che lo limitano nei movimenti degli arti superiori.Mentre sta in piedi gli si allaccia - senza serrare - la fascia pelvica. Lo si invita quindi a sdraiarsi sul lettino in posizione supina Si verifica quindi se l'estensione degli arti inferiori accentua il dolore. Se sì, il trattamento proseguirà come in Fig. 2. Altrimenti il paziente verrà lasciato in posizione supina con gli arti inferiori estesi. Il tratto lombare dovrebbe trovarsi all'altezza della cernieraall'innalzafra le due sezioni del tavolo: non è richiesta una precisione assoluta nel posizionamento. Azionando l'apposita tastiera il terapista provvederà quindi a flettere,A estendere, ruotare nei due sensi la sezione caudale del lettino, per verificare se vi siano posizioni in cui il dolore aumenta o diminuisce. In questa ricerca egli potrà anche chiedere al pazientedi mettersi su un fianco� In questo caso la flesso-estensione della sezione caudale del tavolo produrrà inclinazione laterale destra o sinistra del rachide lombosacrale.Se si identifica una posizione in cui il dolore diminuisce, il trattamento inizierà da questa stessa posizione. Se il dolore non si modifica, il trattamento proseguirà in posizione supina (si veda più avanti l'apposito paragrafo dedicato ai pazienti in cui il dolore non è posizione-dipendente).
Ancoraggio del paziente
A questo punto occorre serrare la fascia pelvica e agganciarla mediante l'apposito cavo di connessione all'anello di fissaggio posto nella sezione caudale del tavolo. E sufficiente che il cavo sia posto in leggera tensione. Lo scopo di questa procedura NON è quello di applicare una trazione pelvica passiva, analoga a quella praticata nelle trazioni convenzionali, bensì quello di impedire che il paziente si auto-trascini verso l'estremità craniale del tavolo durante successivi sforzi di trazione attiva e di spinta con gli arti inferiori. Nel caso di pazienti in marcato sovrappeso o con relativa insufficienza muscolare l'attrito del corpo contro il tavolo può già di per sé stabilizzare il paziente. Nei casi in cui la fascia pelvica sia controindicata il paziente può auto-ancorarsi con il dorsodei piedi
Posizionamento degli arti superiori e del capo
Indicativamente le mani dovrebbero essere poste ad un'altezza intermedia lungo le apposite barre verticali. Se il paziente ha difficoltà nell'abdurre una o entrambe le spalle gli può tenere le braccia addotte ed afferrare la barra trasversale posta sopra il capo. È consigliabile inserire l'apposito cuscino a cuneo sotto il dorso del paziente, in modo che il tronco ed il capo restino in moderata flessione.
La manovra di Trazione Lombare Attiva (TLA)
Supponiamo che il trattamento avvenga, come nella maggior parte dei casi, in posizione supina. Le Figg. 3, 4 e 5 illustrano posizioni tipiche per una manovra di TLA. Semplicemente il paziente "si tira" con le braccia con sforzo massimale per 5-6 secondi e poi sirilascia. Sia la trazione sia il rilasciamento devono svilupparsi gradualmente.
Di regola, il paziente dovrebbe compiere lo sforzo a glottide chiusa ("trattenga il fiato mentre si tira!"): dopo di che interviene una pausa variabile fra 10 e 60 secondi. Per quanto essa possa apparire semplice questa manovra non viene eseguita sempre correttamente. Gli errori più frequenti sono: - sforzo sottomassimale. Il paziente afferra con forza ma non eroga il massimo sforzo anche nella trazione;
- sforzo in co-contrazione flessori/estensori: il risultato è una contrazione isometrica degli arti superiori senza che si trasmetta una trazione alla cinghia pelvica;
- "inarcamento" del tronco. Il paziente tende a contrarre anche una catena muscolare estensoria che include gli arti inferiori e quindi tende a portare il rachide lombosacrale in lordosi.
Il terapista può diagnosticare facilmente questi errori e chiederne la correzione al paziente. Per evitare l'inarcamento del tronco può essere utile chiedere al paziente di flettere gli arti inferiori e di appoggiare i piedi su una delle barre caudali del tavolo. Oppure il� terapista inserisce la propria mano sotto un tallone o sotto un gluteo del paziente e gli chiede di "non schiacciargli la mano" mentre si tira.
Manovre di mobilizzazione del rachide
In fase di pausa
Le manovre di TLA non devono produrre un aumento di dolore. Se questo avviene si deve cercare un'altra posizione. Supponiamo ora che le manovre siano indolori. Durante la pausa fra una trazione attiva e la successiva il terapista aziona il tavolo mediante l'apposita tastiera e fa ruotare il paziente verso una posizione che nelle manovre di mobilizzazione precedenti aveva dimostrato di produrre un aumento del dolore. Tipicamente il movimento verso estensione (lordotizzazione del rachide lombosacrale) provoca quanto meno un certo fastidio. È consigliabile guadagnare ogni volta con mobilizzazione passiva non più di 5-6 gradi . È importante che anche nella nuova posizione il paziente non avverta un aumento del dolore. A questo punto gli viene richiesta una nuova TLA. Con tentativi successivi si dovrebbe arrivare a conquistare l'intera escursione estensoria consentita dal tavolo, con un dolore inferiore a quello che veniva avvertito prima delle manovre o addirittura senza dolore.
Si prosegue poi con analoghe sequenze TLA/imobilizzazione alla conquista di una completa articolarità anche in rotazione e in flessione.
Occasionalmente può persistere dolore soltanto in latero-flessione: in questo caso è opportuno procedere anche al trattamento su un fianco
Infine si controlla il miglioramento acquisito mediante mobilizzazione polidirezionale: il tavolo consente di combinare flessoestensione e rotazione. Ad esempio, si partirà dalla posizione di rotazione destra/flessione del rachide ed anche flesse per arrivare nel corso di una manovra combinata ad una posizione - precedentemente dolorosa - di rotazione sinistra/estensione del rachide ed anche estese.
Durante manovre attive
Quando queste prime manovre siano correttamente eseguite e ben tollerate dal paziente il terapista può produrre la mobilizzazione del tavolo (e quindi della colonna vertebrale) anche durante gli sforzi di trazione attiva.
Di solito questa diviene la modalità di mobilizzazione più usata.
Infatti la mobilizzazione durante trazione attiva si rivela spesso meno dolorosa e più efficace di ciascuna delle due manovre applicata isolatamente.
Manovre con gli arti inferiori
Le manovre con gli arti inferiori hanno lo scopo di modificare favorevolmente la posizione del rachide lombosacrale durante le manovre di trazione attiva e/o di mobilizzazione passiva.
Possiamo distinguerle in tre categorie principali:
a) manovre per flessione/cifotizzazione
b) manovre per lateroflessione
c) manovre per ancoraggio
a) La manovra utilizzata più frequentemente è la semplice spinta con gli arti inferiori contro una delle due barre-trasversali nella sezione caudale del tavolo,
Questa manovra comporta una retroversione del bacino e quindi un movimento del rachide lombare verso cifosi. Attenzione: la spinta NON deve essere massimale ma soltanto sufficiente ad inclinare/ruotare il bacino di pochi gradi.
b) Se la stessa manovra descritta in a) viene eseguita con un solo arto inferiore il risultato sarà una tendenza all'innalzaframento (se immaginiamo il paziente in piedi) del bacino dal lato della spinta: in altri termini, I'arto inferiore che spinge tende ad "allungarsi" inclinando cranialmente il corrispondente emibacino.
Il rachide lombare tende quindi a flettersi con concavità verso il lato di spinta. L'altezza del piede rispetto all'anca e quindi la direzione della forza di spinta risultante determineranno anche l'ampiezza di una eventuale componente di torsione: se la spinta comprende una componente diretta dal basso verso l'alto l'emibacino corrispondente tenderà anche a ruotare verso l'alto. Di solito il dolore tende ad attenuarsi dal lato reso convesso e dal lato opposto al verso di rotazione (ad esempio, dal lato destro se il tronco ruota in senso antiorario visto dall'alto): ma può anche avvenire il contrario (si veda la prima parte di questo manuale).
Alcune considerazioni generali valgono per le manovre di tipo siaa) sia b):occorre trovare, per prova ed errore, le manovre che fanno diminuire il dolore o che comunque non lo fanno aumentare; è consigliabile applicare inizialmente le manovre nelle pause fra trazioni attive consecutive, per poi applicarle anche durante le manovre stesse;
- I'ordine motorio da dare al paziente è lo stesso anche se egli si trova su un fianco in questo caso, i piedi potranno spingere contro una delle due barre verticali;
- se si associano manovre di trazione attiva con gli arti superiori e manovre di spinta con gli arti inferiori, la sequenza di esecuzione dovrebbe essere: inizio della trazione attiva; spinta con gli arti inferiori; rilasciamento degli arti inferiori; rilasciamento della trazione attiva. Spinta e rilasciamento devono svilupparsi gradualmente. La sequenza sopra descritta non è semplice né usuale: è opportuno spiegare con calma al paziente che cosa gli viene richiesto e monitorare da vicino la corretta esecuzione delle manovre. c) Quando non si applica la fascia pelvica (vedi oltre) si può chiedere al paziente di "ancorarsi" con il dorso dei piedi ad una delle due barre verticali sulla sezione caudale del tavolo. Se si vuole che il paziente mantenga le anche flesse, i talloni possono appoggiare sulla barra trasversale intermedia, mentre il dorso dei piedi fa presa sulla barra trasversale più alta . Questa manovra ha soltanto lo scopo di sostituire l'ancoraggio fornito dalla fascia pelvica e quindi non serve eseguirla nei periodi di pausa fra trazioni attive. Inoltre la contrazione dei muscoli flessori dorsali dei piedi dovrebbe accompagnare fin dall'inizio l'attivazione degli arti superiori e cessare contemporaneamente con questa.
Le manovre di ancoraggio con i piedi possono sostituire l'ancoraggio
pelvico ogni qual volta la fascia pelvica sia:
- controindicata
- non applicabile
- non necessaria
- controindicata: in generale, nelle situazioni che potrebbero risentire di un aumento di pressione addominale, quali ad esempio ernie, prolassi, varici emorroidarie ecc.
- non applicabile: ad esempio nei casi di grande obesità; in pazienti portatori di infusori sottocutanei (per terapia insuline o antispastica per esempio) che verrebbero compressi dalla fasciatura creando dolore locale;
- non indispensabile: se il paziente è molto pesante e/o relativamente debole, così che l'attrito stesso del corpo sul tavolo è sufficiente per stabilizzarlo.
Posizionamento sul fianco; posizione prona
Consigliamo di ricorrere alla posizione sul fianco soltanto in tre situazioni:
a) il paziente ha sollievo soltanto su un fianco. Anche in questo caso occorre rispettare la regola della ricerca della posizione di minimo dolore. In generale si tratta di pazienti con dolore lombosciatico unilaterale, spesso con franchi segni radicolari. I dolori sono attenuati oltre che dalla posizione sul fianco anche dalla posizione "semi-fetale" (anche e ginocchia flesse). Quasi sempre il paziente trarrà ancora maggior sollievo da una inclinazione verso l'alto dell'estremità caudale del tavolo che renda convesso il rachide dal lato in appoggio;
b) il paziente avverte dolore soltanto in lateroflessione estrema. In questo caso il trattamento deve mirare a "conquistare" la massimainclinazione laterale del rachide lombare ed è quindi necessario ricorrere alla posizione sul fianco;
c) il paziente avverte dolore soltanto in torsione/lateroflessione estreme. In questo caso si "conquistano" le posizioni dolorose muovendo la sezione caudale del tavolo sia in flessione sia in torsione mentre egli giace sul fianco.Nella nostra esperienza la posizione prona non si è rivelata di alcuna particolare utilità. In compenso essa è quasi sempre sgradita ai paziente.Sequenza delle diverse manovre A titolo puramente indicativo proponiamo questa sequenza di base:
A) - posizionamento del paziente supino ad arti inferiori flessi - mobilizzazione tridimensionale alla ricerca di posizioni di minor dolore (ottimi punti di partenza per le manovre) e di posizioni di maggior dolore (ottimi bersagli di arrivo per le manovre);
B) - lo stesso, con gli arti inferiori estesi;
C) - inizio delle manovre TLA seguite da pause. Mobilizzazione passiva durante le pause;
D) - come sopra, ma con mobilizzazione anche durante le manovre TLA;
E) - come sopra, associando manovre di spinta con gli arti inferiori. La sequenza da A) ad E) qui proposta non deve essere intesa rigidamente.
La regola generale è:cercare la posizione e le manovre di minimo dolore, la posizione
e le manovre di massimo dolore, e finalmente iniziare con la "conquista" delle posizioni e delle manovre dolorose. Vi possono essere pazienti che hanno più dolore in B) che in E): in questo caso la sequenza potrebbe essere esattamente rovesciata. La TLA è una tecnica di trattamento che richiede continua ed intensa interazione fra paziente e terapista. Il successo dipende in larga misura dalla capacità di quest'ultimo di intuire caso per caso e volta per volta le manovre "vincenti" e di farsi poi seguire dal proprio paziente.