Studi e Ricerche

traumi cranici recidivanti : quali conseguenze ?

Tratto da THE GLOBE AND MAIL

Reggie Fleming era un ex giocatore NHL morto a 73 anni lo scorso luglio. La sua ventennale carriera da hockeista (tra Montreal, Chicago, Boston, New York Rangers, Philadelphia e Buffalo) è stata costellata da circa 20 traumi cranici, un numero che fa sembrare pochi i 7 riportati in tempi più recenti da ERIC LINDROS. E considerate che Fleming, nonostante avesse uno stile di gioco molto fisico ed aggressivo, giocava senza indossare un casco.

Dopo il decesso i familiari di Fleming hanno deciso di donare il suo cervello al centro di ricerca medica della Boston University School, che in questi mesi lo ha analizzato alla ricerca di indizi sulle conseguenze che ripetuti traumi cranici possono causare sul cervello. La Dott.ssa Ann McKee e la sua equipe sono così riusciti a stabilire che al momento del trapasso Fleming soffriva di una malattia degenerativa al cervello. E' la prima volta che a un giocatore di hockey viene disgnosticata un'encefalopatia cronica (CTE), scoperta che dà un nuovo slancio alla discussione sugli effetti a lungo termine dei traumi cranici nell'hockey e più in generale sul prezzo che si deve pagare per la fisicità del gioco.

Fleming ricoverato in ospedale racconta al figlio quando giocava per i Blackhawks

Nei suoi ultimi anni di vita Fleming aveva sofferto anche di ictus e attacchi di cuore, ma il suo tessuto cerebrale presentava tutti i sintomi tipici di una patologia CTE, come conferma la Dott.ssa McKee:

"I cambiamenti nel cervello di Flemig sono del tutto simili a quelli che abbiamo riscontrato in 12 giocatori di football e 5 pugili. Questo caso pone anche il problema che la CTE spesso non viene diagnosticata e i disturbi riportati dall'individuo vengono il più delle volte ascritti o a un disturbo psichiatrico come la sindrome bipolare o in età più avanzata all'insorgere dell'Alzheimer”.

La McKee ha versato sui frammenti del tessuto cerebrale di Fleming un liquido di contrasto marrone per evidenziare la presenza della "proteina tau", che di solito si rileva in elevata quantità nei malati di Alzheimer. Di solito l'individuazione necessita dell'utilizzo di un microscopio, invece nel caso di Fleming così come per gli altri atleti indagati la proteina tau era presente in livelli così elevati da poter essere individuata anche a occhio nudo.

"E' impossibile vedere un accumulo così massiccio di questa proteina senza che vi sia una storia di ripetuti traumi cranici", ha concluso la dottoressa.

Il caso di Fleming è stato citato anche dall'ex giocatore di football ed ex wrestler Chris Nowinski come una pietra miliare nella lotta al trauma cranico nell'ambito sportivo. Nowinski ha contribuito alla fondazione dello "Sports Legacy Institute", che propone ai familiari di sportivi vittime di traumi cranici di donare il cervello dei loro cari alla ricerca (per ora 130 famiglie hanno aderito).

“La NHL è sulla strada giusta perché sottopone i suoi atleti a test neurologici di base", spiega Nowinski. “Ma gli ex giocatori NHL che ho incontrato mi hanno detto che il topic non è stato ancora posto alla giusta attenzione e che i colpi alla testa continuano a verificarsi, quando invece non dovrebbero".